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Stefano
Cagol, la possiblilità d'interrogarsi
by
Gabriella Belli
Interrogarsi
sul valore del mezzo, sulla sua potenzialità espressiva, soprattutto,
sulla sua capacità di dare forma alle inquietudini del suo essere
artista nella contemporaneità, sembra costituire l'obbiettivo primario
di Stefano Cagol, che si muove con disinvoltura dentro una vera e propria
linguistica high tech, sofisticata e per certi aspetti non troppo lontana
dagli esiti di una più tradizionale sperimentazione visiva, qui
ancora presente come memoria o citazione, soprattutto nel comporsi delle
immagini video.
Forte
di un'attrezzatura mentale che lo rende capace di esplorare, attraverso
una garbata quanto ossessiva programmazione di sequenze video e di fotogrammi,
l'universo del simbolo e della metafora, categorie che conservano intatto
il loro valore speculativo, Stefano Cagol pone il suo lavoro creativo al
servizio di una meta-realtà, modernamente intesa tra il virtuale
e il metafisico, dove le immagini conquistano un ruolo predominante, diventando
nello stesso tempo ritagli e collages, sottrazione e addizione, di un'indagine
sociologica e antropologica sull'idea dell'essere, sulla riflessione del
sé e delle sue relazioni con l'altro da sé.
Un'indagine
sul soggettivo che porta verso un'idea d'intimismo fortemente concettualizzato,
barricato nelle rigide e sincopate sequenze del video e nella fissità
del fotogramma, ripetuto fino all'esaurirsi della sua capacità evocativa
dell'immagine o, meglio sarebbe dire, del suo immaginario.
Abitato
da volti, figure ed eventi sottratti alla banalità di un'anonima
cronaca quotidiana, di tanto in tanto debordante in una dimensione eroica,
il suo racconto si apre a molteplici chiavi di lettura, lasciando lo spettatore
libero di trovare nell'espansione spazio-temporale dell'immagine video,
virtuale e reale ad un tempo, che penetra fin dentro la sua stessa vita,
la ricontestualizzazione dei simboli e delle metafore, di cui Cagol fa
buon uso, aiutato da una costruzione dell'immagine fatta di passaggi leggeri,
ricchi di una sottile ironia.
Il
processo video-fotografico, che porta alla smaterializzazione dell'opera,
oggi più che mai solo anacronisticamente da intendersi nell'accezione
alquanto limitativa di manufatto, viene qui a riproporsi come un modello
pertinente, ovvero di più autentica rispondenza al suo fine e al
suo contenuto: il tempo e lo spazio del video, dilatati o compressi al
di qua o al di là delle convenzioni geometriche e numeriche che
regolano la realtà, amplificano la nostra percezione problematica
di quella densità priva di corpo che è appunto la scrittura
del video, la circolarità ripetitiva delle sue immagini placa le
nostre ossessioni e la virtualità dei suoi eventi ci permette una
continua, reiterata possibilità di ricominciare.
Gabriella
Belli
©
2000 copyright by Gabriella Belli |
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Stefano
Cagol, the possibility of questioning oneself
by
Gabriella Belli
Stefano
Cogol's foremost objective seems to question himself on the importance
of the medium, its expressionistic potential, above all on its capacity
to give form to the restlessness of his artistic being. He effortlessly
employs a positively high tech style, sophisticated yet not too far removed
from a more traditional type of visual experimentation, still evident here
in memories and quotations, above all in the composition of the video images.
The
artist is endowed with a highly gifted mind which gives him the ability
to explore a universe of symbols and metaphors - categories which still
preserve their speculative value - by means of a graceful, though obsessive
series of sequences of video images and photograms. He places his creative
genius at the service of a meta-reality, a modernistic understanding between
the virtual and the metaphysical, where images take on a predominant role,
becoming at the same type both cut-outs and collages, subtraction and addition,
and at the service of a sociological and anthropological inquiry into the
idea of being, and into reflections of the ego and of its relations with
other than self.
An
inquiry into subjectivity which leads towards an idea of intensely conceptualised
intimation, locked within the rigid and syncopated video-sequences and
the fixity of the photogram, repeated endlessly until its evocative capacity
of the image is exhausted, or rather that of its imaginary.
His
work, inhabited by faces, figures and events, plucked from an anonymous
and banal everyday existence, at times borders on the heroic and is open
to a multiplicity of interpretations, leaving the spectator free to find
in that space-time expansion of virtual yet real video images, which penetrates
the very heart of his life itself, the recontextualisation of symbols and
metaphors, of which Cagol makes good use, helped by a compilation of images
made up of light sequences, steeped in subtle irony.
The
video-photographic process, which brings about the de-materialisation of
the work, now more than ever, merely anachronistically, to be interpreted
in the rather restrictive meaning of the work, comes over here, yet again,
as a pertinent model, or in other words as a more authentic correlation
to its purpose and content: the video's time and space, dilated or compressed
within or beyond the geometrical and numerical conventions which govern
reality, amplify our problematic perception of that formless density which
is in fact the making up of video, the repetitive chain of images placates
our obsessions while the virtuality of its events grants us over and over
again, the endless possibility of starting once again.
Gabriella
Belli
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